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  • Giulia Borgna

La CGUE sulla compatibilità delle Red Notice dell’Interpol con il ne bis in idem


Con sentenza del 12 maggio 2021 nel caso C-505/19 (WS), la Corte di Giustizia ha chiarito che gli Stati parte alla Convenzione di Schengen possono rifiutare l’esecuzione di una Red Notice nei confronti di un cittadino extra-UE qualora sia stato già processato in un altro Stato contraente o Stato membro.


La vicenda e le domande pregiudiziali

Il caso concerne un cittadino tedesco, WS, ricercato dagli Stati Uniti a fini processuali per fatti di corruzione. Per i medesimi fatti, l’interessato era già stato indagato dalla procura di Monaco (Germania) ed il procedimento si era concluso con un’archiviazione condizionata al pagamento di una sanzione pecuniaria. Pertanto, WS chiedeva alla Germania di adottare tutte le misure necessarie per far ritirare od oscurare la Red Notice, di cui lamentava il contrasto con il divieto di bis in idem sancito dall’art. 54 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen (CISA) e dall’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali.


La Corte amministrativa di Wiesbaden formulava una domanda di rinvio pregiudiziale, chiedendo alla Corte del Lussemburgo di chiarire (a) la portata del principio del ne bis in idem e le sue implicazioni nei rapporti con gli Stati terzi e, in particolare, se l’art. 54 CISA e l’art. 50 della Carta precludano l’arresto provvisorio di una persona ricercata mediante Red Notice emessa da uno Stato terzo; e (b) in caso affermativo, le conseguenze sul trattamento dei dati personali contenuti nella Red Notice ai sensi della Direttiva 2016/860.


La decisione della Corte di Giustizia

Con riguardo al primo – e più importante – quesito concernente la portata del ne bis in idem, la Corte ha anzitutto ribadito che l’art. 54 CISA si applica anche a procedimenti che si concludono con un’archiviazione disposta dal pubblico ministero a fronte dell’adempimento da parte dell’imputato di una serie di obblighi (para. 73, con rinvio alla sentenza dell’11 febbraio 2003 Gözütok e Brügge, C‑187/01 e C‑385/01, paras. 22, 27 e 48).


Secondo la Corte, l’esito del procedimento a cui era stato sottoposto WS in Germania – un’archiviazione condizionata disposta dal pubblico ministero – costituiva una “decisione definitiva”, ai sensi e per gli effetti degli artt. 54 CISA e 50 della Carta, tale da innescare l’operatività del divieto di bis in idem.


Ciò posto, la Corte ha affermato – e qui risiede il tratto rivoluzionario della pronuncia – che dal principio del ne bis in idem discende quale corollario il diritto del soggetto a non essere sottoposto ad arresto provvisorio in esecuzione di una Red Notice dell’Interpol emessa da uno Stato terzo per i medesimi fatti oggetto di un precedente giudicato in uno Stato contraente. Così come gli Stati contraenti sono tenuti ad astenersi dal perseguire essi stessi una persona per taluni fatti, agli stessi deve essere parimenti ritenersi precluso assistere uno Stato terzo nel perseguire tale persona procedendo al suo arresto provvisorio, qualora sia pacifico che la persona è già stata giudicata in via definitiva per i medesimi fatti da un altro Stato membro (para. 82).


Per contro, l’arresto provvisorio è consentito soltanto nella misura in cui sia strettamente necessario a svolgere le verifiche in ordine all’applicazione del principio del ne bis in idem, eventualmente previa interlocuzione con lo Stato membro nel quale si è svolto il procedimento in questione (paras. 83 e 88). Se la verifica si conclude con un esito positivo, la persona deve essere immediatamente rimessa in libertà (para. 89).


In quest’ottica, è necessario che gli Stati membri e gli Stati contraenti la Convenzione di Schengen contemplino dei rimedi effettivi che consentano agli interessati di ottenere una decisione giudiziaria definitiva che accerti l’applicazione del principio del ne bis in idem (para. 92).


La Corte ha poi respinto l’obiezione, sollevata da pressocché tutti gli Stati intervenuti nel giudizio europeo, secondo cui l’articolo 54 della CISA sarebbe applicabile solo all’interno dello spazio Schengen e il principio del ne bis in idem non costituirebbe un impedimento assoluto che giustifichi un diniego di estradizione in forza dell’accordo di estradizione UE‑USA.


Da un lato, benché l’articolo 54 della CISA non vincoli, evidentemente, uno Stato che non rientra tra gli Stati contraenti e che non fa quindi parte dello spazio Schengen, secondo la Corte “l’arresto provvisorio di una persona interessata da un avviso rosso dell’Interpol da parte di uno degli Stati contraenti costituisce – anche se tale avviso è stato pubblicato su richiesta di uno Stato terzo nell’ambito del procedimento penale da esso avviato nei confronti di tale persona – un atto di tale Stato contraente il quale si inserisce quindi nel contesto di un’azione penale che si estende (…) al territorio degli Stati contraenti e che, per il diritto alla libera circolazione di detta persona, ha lo stesso effetto negativo dell’analogo atto adottato nell’ambito di un procedimento penale che si svolga interamente in detto Stato contraente” (para. 94).


Dall’altro lato, la Corte ha ritenuto che l’accordo di estradizione UE-USA non trovi applicazione nel caso di specie, ove si discute dell’arresto provvisorio di una persona destinataria di una Red Notice, non già della sua estradizione (para. 98).


Ugualmente rilevanti le ricadute in termini di trattamento dei dati estratti dal sistema Interpol. Sul punto, la Corte ha affermato che, quando sia stato accertato che una Red Notice riguardi gli stessi fatti per cui l’interessato è già stato giudicato in via definitive, la registrazione nei sistemi di ricerca degli Stati membri dei dati personali contenuti nella Red Notice non è più necessaria, cosicché la persona interessata deve poter chiedere la cancellazione senza ingiustificato ritardo dei dati personali che la riguardano da parte del titolare del trattamento, in forza dell’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2016/680.


Se, tuttavia, tale registrazione è mantenuta, essa deve essere accompagnata dall’indicazione che la persona di cui trattasi non può più essere sottoposta a procedimento penale in uno Stato membro o in uno Stato contraente per i medesimi fatti a causa del principio del ne bis in idem.

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