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  • Redazione

BOLLETTINO (gennaio-febbraio 2023)

Le massime più rilevanti in materia di estradizione e mandato di arresto europeo (gennaio-febbraio 2023)




Requisito della doppia incriminazione

(Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 346 del 27.10.2022, depositata il 09.01.2023)


Con tale pronuncia la Corte di Cassazione è tornata a soffermarsi, in tema di estradizione verso gli Stati Uniti d’America, sul requisito della doppia incriminazione nei casi aventi ad oggetto fattispecie relative a reati fiscali. Ciò posto, i giudici di legittimità hanno ribadito che “il requisito della doppia incriminazione, come disciplinato dal suddetto Trattato, non postula l’esatta corrispondenza della configurazione normativa e del trattamento della fattispecie, ma solo la applicabilità della sanzione penale, in entrambi gli ordinamenti, ai fatti per cui si procede” (ivi, p. 3). Pertanto, quando a dover essere applicata è la disciplina di cui al predetto trattato, i giudici nazionali dovranno procedere all’esame della doppia incriminabilità secondo la normativa interna (art. 13 c.p.). Quanto precede deriva dall’assenza, nel Trattato bilaterale con gli Stati Uniti, di una normativa analoga a quella di cui all’art. 7, l. n. 69 del 2005, ed all’art. 2 del secondo Protocollo addizionale del 17 marzo 1978 alla Convenzione europea di estradizione. Difatti, in queste ultime, non solo “il principio della doppia incriminabilità è stato mitigato per dar rilevanza in materia fiscale soltanto alla ‘equivalenza’ delle concezioni repressive, senza pretendere una loro totale sovrapponibilità”, ma sono state altresì “ritenute irrilevanti le sogli[e] di punibilità previste dal d.l.gs. 10 marzo 2000 n. 74 (…) in favore di una valutazione della doppia incriminabilità ‘in astratto’ e non in concreto” (ivi, p. 4). Alla luce di quanto precede, i giudici interni – nei casi di applicazione del predetto Trattato, e di conseguente verifica della sussistenza della doppia incriminazione – avranno l’onere di verificare se il fatto o i fatti di reato contestati all’estradando raggiungano, secondo l’ordinamento italiano, le soglie di punibilità dallo stesso previste (nel caso di specie, quelle di cui agli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 74 del 2000).


Stato richiedente: Stati Uniti d’America

Esito: annullamento parziale con rinvio


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Riparazione per ingiusta detenzione

(Cass. pen., Sez. III, sent. n. 554 del 27.09.2022, depositata l’11.01.2023)


Il caso portato all’attenzione dei giudici di legittimità riguardava una richiesta di riparazione per ingiusta detenzione originatasi dalla privazione della libertà sofferta nel territorio nostrano in pendenza di un procedimento estradizionale passivo incardinatosi con una richiesta di consegna (poi rigettata) avanzata dalla Moldova. Tale sentenza si segnala – e per tale ragione non ci si dilunga in una descrizione minuziosa della vicenda – per il principio che va enunciando. Difatti, i giudici di legittimità hanno riconosciuto come – in caso di privazione della libertà personale sofferta in pendenza di una procedura di estradizione passiva conclusasi con il rigetto della richiesta – “la ingiustizia della detenzione può manifestarsi ora sotto la forma della ‘ingiustizia sostanziale’ (presente, stante la irrilevanza nelle fattispecie del tipo ora in esame delle ipotesi assolutoria elencate dall'art. 314 c.p.p., comma 1, allorché non sussistevano le condizioni per una sentenza favorevole alla estradizione essendo questo il provvedimento giurisdizionale, dal punto di vista contenutistico, più simile alle ipotesi di ampio proscioglimento indicate, appunto, dall'art. 314 c.p.p., comma 1), ovvero sotto quella della ‘ingiustizia formale’ (riscontrabile, quanto alle ipotesi del tipo ora in esame, data la inapplicabilità dei divieti ordinariamente sanciti dagli artt. 273 e 280 c.p.p., laddove la misura fosse stata adottata sebbene non sussistesse un adeguato pericolo che l’interessato potesse sottrarsi alla consegna allo Stato estero)” (ivi, p. 7). Ad ogni modo, però, precisano gli ermellini, “anche con riferimento a queste ipotesi deve, tuttavia, ritenersi che il comportamento doloso o gravemente colposo del soggetto - laddove lo stesso abbia costituito uno dei fattori, sebbene non esclusivo, valutati ai fini della adozione della misura - si ponga come ostativo alla indennizzabilità della detenzione, atteso che un siffatto biasimevole atteggiamento del soggetto interessato costituirebbe un fattore ragionevolmente impeditivo dell’innescamento del meccanismo solidaristico che sta alla base del fenomeno indennitario; questo, infatti, si giustifica solo in funzione della assenza di una qualche responsabilità ‘colpevole’ nella determinazione dell’evento pregiudizievole da parte del soggetto inciso da esso” (ibidem).


Stato richiedente: Moldova

Esito: rigetto del ricorso


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Nozione di “autorità giudiziaria emittente” in tema di mandato di arresto europeo

(Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 876 dell’11.01.2023, depositata il 12.01.2023)


Con la pronuncia in esame la Suprema Corte è tornata a confrontarsi con la nozione di “autorità giudiziaria emittente” in tema di mandato di arresto europeo e, più precisamente, con l’allegata mancanza di indipendenza dell’organo che lo ha emesso (i.e. pubblico ministero austriaco). Ebbene, i giudici di legittimità – in piena condivisione dell’operato della Corte d’appello di Torino – hanno ribadito che “la nozione di «autorità giudiziaria emittente» comprende anche le autorità di uno Stato membro che, pur non rivestendo la qualifica di organi giurisdizionali, partecipano all’amministrazione della giustizia penale di tale Stato e agiscono in modo indipendente nell’esercizio delle proprie funzioni, a condizione che sia assicurato il sindacato giurisdizionale sulla decisione relativa all’emissione del mandato” (ivi, p. 3). Pertanto, alla luce dei principi enunciati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, non potrà ritenersi sussistente un difetto di giurisdizionalità nella procedura di emissione di un mandato di arresto europeo da parte di un pubblico ministero – come nel caso di specie – ove sia al contempo prevista e garantita una previa convalida del provvedimento da parte di un Tribunale indipendente ed imparziale. Convalida, quest’ultima, che dovrà essere preceduta da un controllo indipendente ed obiettivo – condotto sempre, ovviamente, dal predetto Tribunale – in merito alla sussistenza delle condizioni di emissione del MAE e alla sua proporzionalità.


Stato richiedente: Austria

Esito: rigetto del ricorso


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Traduzione scritta dei documenti fondamentali per l’esercizio del diritto di difesa

(Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 5877 del 09.02.2023, depositata il 10.02.2023)


Mediante ricorso per cassazione veniva denunciata “violazione di legge con riferimento alla mancata traduzione in lingua conosciuta dal ricorrente della sentenza emessa dalla Corte di appello con cui è stata disposta la [sua] consegna” (ivi, p. 2). Tanto premesso, gli ermellini, in prima battuta, ricordavano “che in tema di mandato di arresto europeo, l’ambito applicativo delle novellate disposizioni di cui all’art. 143 cod. proc. pen., che hanno recepito nell’ordinamento interno i principi contenuti nell’art. 3 della direttiva 2010/64/UE, comprende anche la speciale disciplina della procedura di consegna relativa al m.a.e., con la conseguenza che l’imputato alloglotta che non conosca la lingua italiana ha diritto ad ottenere la traduzione degli atti della procedura di consegna, tra cui anche la sentenza, solo se ne faccia espressa e motivata richiesta” (ibidem). Pertanto, precisavano i giudici di legittimità, “in applicazione del comma 3 dell’art. 143 cod. proc. pen., la traduzione gratuita di atti diversi da quelli contemplati nel comma 2 della citata disposizione codicistica, tra i quali evidentemente non rientrano gli atti della procedura esecutiva del mandato di arresto europeo, può essere liberamente disposta dal giudice, anche su richiesta di parte, con atto motivato, impugnabile unitamente alla sentenza” (ivi, p. 3). Giungendo all’esame specifico del caso portato alla sua attenzione, la Suprema Corte rilevava che “la sentenza è stata redatta all’esito di una udienza alla quale hanno presenziato, oltre all’interessato, anche il suo difensore e l’interprete e che non è stata avanzata dalla parte privata richiesta espressa della sua traduzione” (ibidem). Pertanto, concludeva la Cassazione, “non avendo il ricorrente esercitato detta facoltà, evidentemente nessun pregiudizio può aver ricevuto dalla omessa traduzione della sentenza, che del resto non ha impedito alla difesa di esercitare i suoi diritti e facoltà, presentando ricorso per cassazione” (ibidem).


Stato richiedente: Francia

Esito: inammissibilità del ricorso


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Esecuzione del mandato di arresto europeo e divieto di espulsione e di rinvio al confine di cui all’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951

(Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 7860 del 21.02.2023, depositata il 22.02.2023)


In tale arresto la Suprema Corte di Cassazione – nel confrontarsi con tesi difensive già in passato portate alla sua attenzione, e respinte – ha affermato che nel “caso in esame (…) non essendo stato dedotto alcun rischio specificamente rilevante ai sensi dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra con riferimento allo Stato richiedente, il mero fumus, genericamente prospettato dal ricorrente di una sua espulsione verso la Turchia, non può rilevare come causa ostativa alla consegna, potendo, al più essere prospettato dinanzi alle competenti autorità tedesche nel momento in cui tale misura venga disposta alla cessazione delle ragioni di giustizia correlate alla richiesta di consegna” (ivi, p. 4).


Stato richiedente: Germania

Esito: rigetto del ricorso


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Mandato di arresto europeo strumentale ad esigenze meramente investigative

(Cass. pen., sent. n. 7861 del 21.02.2023, depositata il 22.02.2023)


La presente pronuncia origina da un mandato di arresto europeo (processuale) emesso dall’autorità giudiziaria della Polonia. La questione saliente scaturisce, come sottolineato dai giudici di legittimità, dal fatto che “nel mandato e nella sintetica documentazione a corredo non si specificano le ragioni che ne giustificano la emissione e che potrebbero riferirsi sia all’esercizio dell’azione penale, quindi funzionali a garantire la presenza dell’imputato nel processo a suo carico, che essere strumentali esclusivamente a esigenze investigative o istruttorie, in ogni caso imprecisate nel contenuto e nel tempo” (ivi, pp. 2-3). Pertanto, i quesiti con i quali sono stati chiamati a confrontarsi gli ermellini sono i seguenti: può essere emesso un mandato di arresto europeo strumentale ad esigenze meramente investigative? Può, conseguentemente, lo Stato richiesto darvi esecuzione? Nell’affrontare tali quesiti, i giudici della Suprema Corte hanno, anzitutto, debitamente ricordato come l’art. 1, par. 1, della decisione quadro 2002/584/GAI – che definisce il MAE – “non contempla un mandato di arresto europeo strumentale ad esigenze meramente investigative, dovendo lo stesso pur sempre essere finalizzato all’esercizio dell’azione penale” (ivi, p. 3). In secondo luogo, ripercorrendo la giurisprudenza di legittimità sul punto, davano atto di un contrasto giurisprudenziale verificatosi negli anni passati. Difatti, in una precedente pronuncia, la Suprema Corte aveva già statuito “che non può essere data esecuzione ad un mandato di arresto europeo emesso esclusivamente per sottoporre la persona richiesta in consegna ad atti di istruzione (nella specie, interrogatori e confronti), perché in tal modo verrebbe impiegato lo strumento coercitivo per finalità investigative, non previste dalla decisione-quadro del 13 giugno 2002 e dalla relativa legge di attuazione del 22 aprile 2005 n. 69” (ivi, p. 3). Salvo poi, in altre occasioni, ritenere legittima la consegna per le predette finalità investigative nei casi in cui “gli atti istruttori da compiere erano specificamente individuati, determinati ab origine, e non assolutamente indeterminati” (ibidem). Tanto premesso, gli ermellini precisavano che “le ricordate pronunce, nella parte in cui fanno riferimento alla legittimità del mandato di arresto europeo sia per l’assunzione di prove nel procedimento penale che per ragioni esclusivamente investigative, devono essere, inoltre, attualizzate attraverso la comparazione dei più risalenti principi con gli strumenti che realizzano la finalità della collaborazione fra Stati, alla stregua della direttiva 2014/41/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014, relativa all’ordine europeo di indagine penale” (ivi, pp. 3-4). Ebbene, in seguito ad un’attenta analisi di quest’ultima direttiva, la Suprema Corte ha affermato che “tali previsioni dimostrano come, nel diritto dell’Unione europea, il mandato di arresto europeo non possa essere emesso esclusivamente per finalità investigative, disancorate dall’esercizio dell'azione penale nello Stato richiedente, in quanto per il perseguimento delle legittime finalità investigative sono previsti strumenti alternativi della cooperazione europea nello spazio giuridico comune” (ivi, p. 4). In conclusione, volgendo l’attenzione al caso sottoposto al loro esame, i giudici di legittimità hanno ritenuto che “l’obiettiva incertezza circa le ragioni che sono state poste a fondamento dell’adozione del mandato di arresto europeo di cui si controverte (…) impone di chiarire, mediante la richiesta di informazioni integrative all’autorità emittente, ai sensi dell’art. 16 della legge n. 69 del 2005, quali siano gli atti processuali e/o istruttori da compiere con la presenza della persona richiesta in consegna, e se la sua presenza (…) sia indispensabile per il prosieguo del procedimento o ai fini dell’esercizio dell’azione penale e della impossibilità di assicurarne, secondo le regole del processo polacco, la celebrazione senza la presenza fisica dell’imputato in Polonia. Solo tale accertamento consentirà, infatti, di chiarire se il mandato di arresto europeo sia conforme al paradigma delineato dall'art. 1, par. 1, della decisione quadro 2002/584/GAI e esaminare compiutamente la censura svolta dal ricorrente” (ibidem).


Stato richiedente: Polonia

Esito: annullamento con rinvio


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