Con sentenza n. 27359/19 del 14 giugno 2019, depositata il 19 giugno 2019, la Cassazione ha chiarito che il riconoscimento a fini esecutivi della sentenza oggetto del mandato di arresto europeo deve rispettare, fatto salvo un limitato potere di adattamento, la natura giuridica e la durata della sanzione penale. Ne consegue che non sarà possibile procedere all’applicazione del beneficio dell’indulto senza il consenso dello Stato di emissione del MAE, mancando il quale la sentenza straniera non potrà essere riconosciuta e dovrà procedersi alla consegna.
Ai sensi dell’art. 18, co. 1, lett. r), del d.lgs. n. 69/2005, come così risultante all’esito della declaratoria di incostituzionalità (Corte cost., sentenza n. 227 del 2010), lo Stato deve rifiutare la consegna se il MAE è stato emesso a fini esecutivi e ricorrono due condizioni concorrenti: i) la persona ricercata dimora nello Stato di esecuzione, ne è cittadino o vi risiede; e ii) è possibile eseguire in Italia la pena o la misura di sicurezza inflitta con la sentenza straniera conformemente al diritto interno. Si tratta di una disposizione finalizzata alla salvaguardia delle esigenze di risocializzazione del reo, che ha maggiori possibilità di successo se effettuata all’interno della comunità di appartenenza.
Tuttavia, come chiarito dai giudici di Lussemburgo (C-514/17 del 13 dicembre 2018, Sut), il rifiuto della consegna presuppone un “vero e proprio impegno” da parte dello Stato di esecuzione ad eseguire la pena privativa della libertà irrogata nei confronti del condannato. Non una pena qualsiasi, ma la “stessa” pena inflitta dallo Stato di emissione. Ne consegue che, in presenza di un ostacolo normativo alla presa in carico della esecuzione della pena, lo Stato richiesto non potrà avvalersi del motivo di rifiuto di cui all’art. 18, co. 1, lett. r), e dovrà necessariamente dar luogo alla consegna.
Con sentenza n. 27359/19, la Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sullo spinoso problema di come l’indulto si innesti nella procedura di riconoscimento della sentenza straniera. E ciò in quanto l’applicazione di tale beneficio premiale è suscettibile di incidere in misura significativa sulla pena da eseguire in Italia.
Quanto alla disciplina applicabile alla procedura di riconoscimento del provvedimento estero, è bene rammentare come il vuoto normativo esistente nella decisione quadro 2002/584/GAI (e, di riflesso, nel d.lgs. n. 69/2005) sia stato colmato dalla successiva decisione quadro 2008/909/GAI relativa al reciproco riconoscimento delle sentenze penali ai fini della loro esecuzione nello spazio giuridico europeo (recepita in Italia con il d.lgs. n. 161/2010). Come noto, tale decisione quadro prevede disposizioni stringenti quanto ai poteri dello Stato di esecuzione in sede di adattamento. Fatta eccezione per il limitato potere di ricondurre la durata della pena al massimo edittale previsto dall’ordinamento nazionale per il reato oggetto della condanna da eseguire, non è consentito un potere di intervento unilaterale sulla durata della pena in assenza di un consenso dello Stato di emissione, “in quanto lo Stato di emissione mantiene la sua competenza per l’esecuzione fintantoché l’esecuzione della pena nello Stato di esecuzione non sia iniziata” (art. 13 della decisione quadro 2008/909/GAI).
E ciò vale anche per l’indulto la cui applicazione (specie ove sia condonato l’intero periodo di pena previsto dalla l. n. 241/2006), prima che sia iniziata l’esecuzione, determinando un riconoscimento parziale della sentenza da eseguire, resta subordinata all’eventuale accordo dello Stato di condanna da ricercarsi attraverso il meccanismo di preventiva interlocuzione (art. 10, co. 3, del d.lgs. n. 161/2010). Qualora non si riesca a pervenire ad un accordo circa l'applicazione dell'indulto, il condannato si vedrà costretto a scontare la pena all’estero.
Né, d’altronde, sarebbe prospettabile la rinuncia, da parte dell’interessato, all’applicazione dell’indulto, trattandosi di beneficio sottratto alla disponibilità delle parti (Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 41875 del 9.10.2008).
Ma la Cassazione si domanda (e domanda alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, invitando il giudice del rinvio a sollevare la questione pregiudiziale) se sia accettabile una soluzione che viene a sacrificare l’obiettivo di facilitare il reinserimento sociale del condannato in funzione dell’applicazione inderogabile di un beneficio clemenziale in sede di riconoscimento della sentenza oggetto del MAE.
La Cassazione ha chiamato, la Corte di Giustizia risponderà?
Comments