Il 31 gennaio 2020, il Regno Unito ha ufficialmente lasciato l’Unione europea ed è iniziata una fase di transizione che durerà sino alla fine dell’anno in attesa di definire i nuovi rapporti reciproci. Dopo 47 anni, il recesso del Regno Unito determinerà una serie di ripercussioni in vari settori, fra cui quello della cooperazione giudiziaria in materia penale.
La cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale non sarà certo la priorità dei negoziatori, ma è indubbio che si tratta di una delle aree in cui gli effetti della Brexit saranno maggiormente tangibili. Fino ad oggi, il Regno Unito – specie nell’ambito di procedimenti penali complessi e dalle sfaccettature transfrontaliere – si è frequentemente avvalso degli strumenti di cooperazione offerti dal diritto dell’Unione europea. Per quanto, comunque, il meccanismo dell’opt-out aveva già consentito una partecipazione “à la carte” del Regno Unito nel settore degli affari penali (ad esempio, lo Stato britannico aveva accettato il MAE e l’Ordine Europeo di Indagine Penale, ma non anche la direttiva sul diritto di accesso ad un difensore).
Tutto questo cambierà per effetto della Brexit. Cosa verrà dopo rimane ancora un’incognita.
Una delle aree su regna ancora la massima incertezza è quella dell’estradizione. Prima del recesso dall’Unione europea, persone richieste dal Regno Unito sulla base di un MAE avevano tentato di sfruttare la Brexit per impedire la consegna. La Corte di Giustizia aveva tuttavia ridimensionato la portata del problema nel caso RO (C-327/18 PPU del 18 settembre 2018, commentata su Extradando a questo link). Nello specifico, la Corte ha ritenuto che sussistesse una presunzione di perdurante rispetto dei diritti fondamentali, così come contenuti nella CEDU e nella Convezione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, i quali continueranno ad applicarsi anche dopo il recesso; pertanto, le autorità giudiziarie dell’esecuzione potranno rifiutare di eseguire il MAE soltanto in presenza di elementi concreti di segno opposto.
Sebbene il diritto dell’Unione europea continuerà ad applicarsi, in linea di principio, sino alla fine del periodo di transizione (art. 127 dell’accordo di recesso), alcuni piccoli cambiamenti cominciano già ad intravedersi.
Nelle pieghe dell’accordo di recesso, all’art. 185 è prevista la facoltà per gli Stati membri dell’Unione europea, durante il periodo transitorio, di negare la consegna dei propri cittadini al Regno Unito per motivi legati al rispetto dei diritti fondamentali in base all’ordinamento interno. Questo è il caso, ad esempio, della Germania, che vieta l’estradizione dei propri cittadini a meno che la richiesta di consegna non provenga da uno Stato UE o da una corte internazionale (art. 16 § 2 della Costituzione tedesca). Al momento, soltanto tre Stati (Germania, Austria e Slovenia) si sono avvalsi di questa facoltà e il Regno Unito ha ora un mese di tempo per informare se intende applicare tale motivo ostativo nei rapporti con tali Stati.
Sebbene la disposizione riguardi espressamente soltanto il periodo di transizione e si applichi unicamente ai rapporti con alcuni paesi, si tratta di un primo assaggio di quello che avverrà post-Brexit.
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