La sentenza della Corte di Giustizia del 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, affronta per la prima volta il tema dei rapporti fra la direttiva 2012/13/UE sul diritto all’informazione nei procedimenti penali e la decisione quadro 2002/584/GAI relativa al mandato d’arresto europeo.
Il contesto fattuale
L’Ufficio Specializzato di Procura in Bulgaria aveva avviato un procedimento penale nei confronti di IR, accusato di aver partecipato a un’organizzazione criminale finalizzata alla commissione di reati tributari. Nella fase preliminare del procedimento, IR era stato informato “soltanto di taluni dei suoi diritti in qualità di imputato” (sentenza, § 21). Resosi successivamente irreperibile, la Corte Penale Specializzata emetteva un’ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti, sulla base della quale l’Ufficio di Procura emetteva poi un MAE. Sennonché, la Corte Penale Specializzata – dubitando della compatibilità del MAE con il diritto dell’Unione europea e, in particolare, con la direttiva 2012/13 – lo annullava, formulando contestualmente una domanda di rinvio pregiudiziale.
Le questioni oggetto del rinvio pregiudiziale
La Corte bulgara chiedeva delucidazioni alla Corte di Giustizia in ordine alla possibilità per le persone destinatarie di un MAE processuale di godere non soltanto dei diritti espressamente previsti dall’art. 5 della direttiva 2012/13 (“Comunicazione dei diritti nel procedimento di esecuzione del mandato d’arresto europeo”), ma anche degli altri, ben più pregnanti, diritti previsti negli artt. 4, 6 e 7 della direttiva, i quali si applicano alle “persone indagate o imputate che siano arrestate o detenute”. Si tratta, fra gli altri, del diritto ad ottenere una “Comunicazione dei diritti” (Letter of Rights), in forma scritta, che dia conto del diritto di accedere al materiale probatorio raccolto dagli inquirenti, del diritto all’informazione sulle prerogative processuali e dei rimedi previsti dall’ordinamento nazionale per contestare la legittimità della misura cautelare e per chiedere la rimessione in libertà (per un commento alla direttiva, come recepita in Italia con il d.lgs. n. 101/2014, si rinvia qui).
In caso di risposta negativa, la Corte bulgara sollevava perplessità in ordine alla validità della decisione quadro sul MAE in quanto il diritto all’informazione ivi contemplato è assai più ristretto rispetto a quello previsto dalla direttiva 2012/13.
La risposta della Corte di Giustizia sulla questione relativa all’ambito applicativo della direttiva 2012/13
Benché la direttiva 2012/13 non escluda espressamente le persone destinatarie di un MAE dal suo perimetro applicativo ratione personae, la Corte di Giustizia ha ritenuto che lo scopo e il contesto di questo atto normativo depongano in favore di una soluzione negativa.
Al pari dell’art. 5(1) CEDU, la direttiva 2012/13, infatti, distingue nettamente la posizione di colui che “è stato arrestato o detenuto per essere tradotto dinanzi all’autorità giudiziaria competente quando vi sono ragioni plausibili per sospettare che egli abbia commesso un reato o ci sono motivi fondati per ritenere necessario di impedirgli di commettere un reato o di fuggire dopo averlo commesso” (art. 5(1)(c) CEDU) da quella di colui che è sottoposto ad “un procedimento d’espulsione o d’estradizione” (art. 5(1)(f) CEDU). Una distinzione processuale che riverbera, per quanto qui di interesse, anche sul fronte dei diritti.
Ad avviso della Corte di Giustizia, tale impostazione troverebbe ulteriore conferma negli obiettivi della direttiva 2012/13, la quale mira non soltanto a dettare “norme minime da applicare in materia di informazione delle persone indagate o imputate per un reato, al fine di consentire loro di preparare la propria difesa e di garantire l’equità del procedimento”, ma anche “a preservare le peculiarità del procedimento relativo al mandato d’arresto europeo” (sentenza, § 58).
La risposta della Corte di Giustizia sulla questione relativa alla validità della decisione quadro 2002/584
Sgombrato il campo dalla necessità di esaminare la validità della decisione quadro del MAE alla luce delle disposizioni della direttiva 2012/13 (in quanto atti di pari rango), la Corte di Giustizia ha assunto quale parametro normativo di riferimento il diritto primario dell’Unione europea e, in particolare, gli artt. 6 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Richiamando il proprio consolidato orientamento (C-508/18 and C-82/19 PPU, OG e PI, 27 maggio 2019; C-566/19 PPU and C-626/19 PPU, JR e YC, 12 dicembre 2019), la Corte di Giustizia ha rammentato come il sistema del MAE già assicuri le garanzie dell’equo processo in quanto, dal momento dell’arresto, la persona richiesta assume lo status di “imputato” con conseguente possibilità di esercitare i diritti di cui agli artt. 4, 6 e 7 della direttiva 2012/13.
Pertanto, il sol fatto che la persona destinataria del MAE non venga informata dei rimedi giurisdizionali previsti nello Stato di emissione ed ottenga l’accesso al fascicolo processuale soltanto dopo la sua consegna non si pone in termini di frizione con il diritto ad un rimedio giurisdizionale effettivo (sentenza, § 80).
Conclusioni
Si tratta di una soluzione indubbiamente insoddisfacente sul piano dell’effettività del diritto di difesa, in quanto è notoriamente arduo contestare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza senza poter consultare gli atti del procedimento penale straniero. Si tratta di un problema che però, almeno per quanto riguarda l’Italia, è stato risolto alla radice, avendo il legislatore rimosso l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dal novero dei motivi ostativi alla consegna nel quadro della recente riforma del MAE (per un commento sulle principali novità del d.lgs. n. 10/2021, si rinvia qui e qui).
Peraltro, per mera completezza, si segnala come la giurisprudenza italiana avesse già fatto propria da tempo, sia pure con motivazioni diverse, la soluzione della Corte di Giustizia. La Cassazione, infatti, esclude la configurabilità di una lesione al diritto di difesa nel caso di impossibilità di prendere visione del fascicolo del procedimento penale all’estero, e ciò in quanto “l'accesso agli atti del procedimento non è consentito neppure nel nostro sistema processuale prima che la misura dell'arresto abbia avuto esecuzione, basti considerare che l'ordinanza di custodia cautelare deve essere depositata in cancelleria, unitamente alla richiesta del pubblico ministero ed agli atti presentati con la stessa, con avviso di deposito al difensore solo dopo la sua esecuzione (ex art. 293 c.p.p., comma 3)” (Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 49548 del 3 dicembre 2019).
Comments