Il 13 giugno 2019, è stato diffuso un video in cui si vede Carlos Luis Malatto, ex tenente del Reggimento di Fanteria di Montagna n. 22 dell'esercito argentino, accusato di aver commesso gravissimi crimini durante il regime militare, che si gode la vita come un pensionato qualunque, sul balcone di una villetta a Calascibetta, in provincia di Enna, Sicilia, prima di allontanare con fastidio i giornalisti che volevano fargli qualche domanda in merito alla sua situazione.
Non sorprendentemente, la pubblicazione del video ha scatenato una reazione indignata: come è possibile che un tale criminale sia a piede libero in Sicilia? si sono chiesti molti utenti su Twitter. E perché il Governo italiano non dedica al suo caso la stessa attenzione e lo stesso impegno che hanno portato alla consegna di Cesare Battisti?
La seconda questione è imponderabile. La prima domanda, invece, chiama direttamente in causa eXtradando: spiegare in maniera precisa e comprensibile i casi di estradizione più intricati è la nostra missione e, per questo, grazie alla disponibilità dell’associazione 24 marzo e dell’avvocato Francesca Sassano, abbiamo recuperato le decisioni e gli altri documenti del caso con l’intento di chiarire la vicenda.
In questo primo post, analizzeremo le ragioni per le quali le corti italiane hanno negato l’estradizione di Malatto alla repubblica Argentina, anticipando le conseguenze di questa decisione dal punto di vista del diritto internazionale. In successivi articoli esamineremo i più recenti sviluppi della vicenda.
Le accuse contro Malatto
Come moltissimi argentini, Carlos Luis Malatto discende da emigranti italiani sbarcati in Sudamerica nel 1890. Negli anni della dittatura militare, egli faceva parte di un gruppo di ufficiali che aveva sistematicamente proceduto al sequestro, alla tortura e all’uccisione dei dissidenti politici. Infatti, molti dei suoi commilitoni dell’epoca sono stati condannati per torture e sparizioni dal Tribunale federale n. 2 della provincia di San Juan.
Il 15 agosto 2011, lo stesso tribunale ha emesso tre diversi ordini di cattura nei confronti di Malatto per associazione a delinquere finalizzata alla commissione di plurimi omicidi, lesioni aggravate, violazioni di domicilio e sequestri di persona. Nel frattempo, però, grazie al passaporto italiano, egli si era rifugiato nel nostro Paese. Per questa ragione, il 3 ottobre 2011, la Repubblica Argentina trasmetteva all’Italia una richiesta di estradizione ai sensi della Convenzione del 9 dicembre 1987 (ratificata dall’Italia con legge 19 febbraio 1992, n. 219) e del Protocollo addizionale del 31 marzo 2003 (ratificato con legge 3 dicembre 2009, n. 188).
La decisione della Corte di appello
Con sentenza del 4 aprile 2013, la Corte di appello dell’Aquila ha accolto la domanda di estradizione ritenendo che tutti i reati che ne formavano l’oggetto (e dunque non solo le ipotesi di omicidio) fossero imprescrittibili in quanto “crimini contro l’umanità” ai sensi dello Statuto della Corte penale internazionale (reso esecutivo in Italia dalla legge 12 luglio 1999, n. 232). Infatti, secondo la Corte di appello, i delitti per i quali era accusato il Malatto sarebbero stati commessi “in esecuzione di un disegno organico attuato dalla Giunta Militare argentina e finalizzato alla sistematica eliminazione degli oppositori” sulla base di “un programma di repressione violenta caratterizzato dalla massiccia violazione dei diritti umani e civili, con l'utilizzo di metodi che comprendevano la privazione della libertà senza accertamento previo di responsabilità, la tortura, gli omicidi, le sparizioni e finanche l'appropriazione di neonati, figli di desaparecidos, ai quali veniva fornita una nuova identità”.
Il rifiuto alla consegna da parte della Corte di Cassazione
La decisione della Corte di appello è stata completamente ribaltata dalla Corte di cassazione che, con sentenza n. 43170, resa il 17 luglio e depositata il 15 ottobre 2014, ha accolto il ricorso presentato dalla difesa sostenendo che “dalla documentazione trasmessa dalla Repubblica Argentina non [risultassero] sussistenti i gravi indizi circa la partecipazione del Malatto ai fatti oggetto della richiesta di estradizione”.
Per giungere a questa conclusione, la VI sezione penale della Suprema Corte ha confermato l’orientamento giurisprudenziale incline a ritenere applicabile l’articolo 705, comma 1, c.p.p. (che richiede al giudice italiano di valutare la sussistenza di “gravi indizi di colpevolezza” a carico dell’estradando) anche al caso di estradizione regolata da una Convenzione bilaterale, nonostante la chiara clausola di apertura della disposizione codicistica invocata, che stabilisce espressamente che la stessa si applica “quando non esiste convenzione o questa non dispone diversamente”.
Con un ragionamento cavilloso, ma effettivamente non estraneo alla giurisprudenza di legittimità (per esempio, sentenza n. 26290 del 28 maggio 2013), la Cassazione ha ritenuto che, anche nell’ambito di un’estradizione convenzionale, spetti al giudice italiano “accerta[re] che dalla documentazione trasmessa [dallo Stato richiedente] risultino […] le ragioni per le quali si ritiene probabile che l’estradando abbia commesso il reato oggetto dell’estradizione [sic]”.
Date queste premesse, i giudici della VI sezione penale della Corte hanno rifiutato la consegna rilevando che “l’accertamento della documentazione allegata [alla richiesta di estradizione dalla Repubblica Argentina] non [consentiva] di individuare alcun elemento a carico del Malatto, emergendo invece solo una teorizzata ‘responsabilità da posizione’, dal momento che si ritiene sufficiente la dimostrazione che all’epoca dei fatti l’estradando facesse parte […] del reggimento di Fanteria di Montagna n. 22” notoriamente “dedito a torture e violenze ai danni di detenuti politici”.
Ebbene, per la Suprema Corte, “il fatto che si sia trattato di un vero e proprio sistema autoritario e criminale di repressione del dissenso ad opera di organismi dello Stato che godevano di copertura e anonimato non può giustificare il superamento dei principi in base ai quali deve concedersi un’estradizione, principi che […] impongono di accertare che dalla documentazione allegata emergano elementi di accusa che rendano probabile che l’estradando abbia commesso il reato attribuitogli”.
Le critiche alla decisione della Suprema Corte
Le critiche alla sentenza della Cassazione si sono concentrate sugli aspetti più politici e torbididella vicenda. Poco o nulla è stato scritto sulle ragioni giuridiche che inducono a ritenere errata, o quantomeno affrettata, la soluzione raggiunta dalla VI sezione.
Eppure, è semplice notare che, secondo l’articolo 13 della Convenzione italo-argentina di estradizione, “se le informazioni fornite dalla Parte richiedente si rivelino insufficienti per consentire alla Parte richiesta di prendere una decisione in applicazione della presente Convenzione, quest'ultima Parte richiederà tutte le informazioni complementari necessarie” che dovranno essere trasmesse in 45 (o, in circostanze eccezionali, 75) giorni. Pertanto, non si capisce per quale ragione, invece di annullare con rinvio la sentenza della Corte di appello, ordinando di procedere ad un nuovo giudizio previa richiesta di ulteriore documentazione all’Argentina, la Cassazione abbia pronunciato un annullamento senza rinvio, chiudendo (almeno temporaneamente) la questione.
Inoltre, è disarmante la superficialità con la quale la Suprema Corte ha liquidato la questione della responsabilità individuale per crimini contro l’umanità: nemmeno una riga della sentenza si interroga sulla qualificazione giuridica dei reati ascritti al Malatto, né sul regime di responsabilità individuale cui si informa lo Statuto della Corte penale internazionale. In effetti, l’articolo 25, comma 3, lettera (d) dello Statuto di Roma attribuisce responsabilità penale anche a colui il quale “contribuisce in [qualsiasi] maniera alla perpetrazione o al tentativo di perpetrazione [di un] reato da parte di un gruppo di persone che agiscono di comune accordo” nella misura in cui tale contributo “mira[…] a facilitare l’attività criminale o il progetto criminale del gruppo”, ovvero “[viene] fornito con piena consapevolezza dell’intento del gruppo di commettere un reato”.
Secondo la dottrina, tale disposizione “catch-all” trova applicazione in tutte le ipotesi di “assistenza indiretta” (anche, per esempio, finanziaria) alla commissione di un reato che non siano già coperte dalle disposizioni in tema di concorso di persone o complicità.
Di conseguenza, una volta accertato che l’estradando era accusato di crimini di gruppo ai sensi del diritto penale internazionale, sarebbe stato necessario indagare il regime di responsabilità per tali reati e valutare la documentazione trasmessa dall’Argentina alla luce di tale standard.
Il fatto che una tale valutazione non sia stata effettuata è grave: non solo per il caso concreto, ma più in generale perché rischia di rendere l’Italia un porto sicuro per coloro che sono accusati di crimini internazionali in un altro Stato.
I possibili rimedi per assicurare giustizia alle vittime
Ma la questione non è chiusa. Intanto, perché l’Argentina ha emesso una nuova richiesta di estradizione nell’agosto 2015. Inoltre, perché, rifiutando la consegna, l’Italia ha attivato la disposizione di diritto internazionale che le impone di giudicare il Malatto di fronte alle corti italiane.
La nuova richiesta di estradizione da parte dell’Argentina
Nell'estate del 2015 il sostituto procuratore di San Juan, in Argentina, ha emesso una nuova richiesta di estradizione (che eXtradando ha potuto visionare) nei confronti di Carlos Luis Malatto. La richiesta, che è considerevolmente più estesa rispetto a quella già rifiutata nel 2014, si basa sulle dichiarazioni di molti testimoni e include, oltre ai reati di omicidio, anche le ipotesi di sequestro di persona aggravato (privación ilegítima de la libertad abusiva agravada por el modo de comisión) e di sparizione forzata (desaparicion forzada). Inoltre, nel formulare la seconda richiesta, il Governo argentino ricorda correttamente che, in tema di estradizione, la decisione che rifiuta la consegna non ha carattere preclusivo con riferimento ad una nuova richiesta. Eppure la richiesta non risulta essere stata inoltrata. La ragione è semplice: nel frattempo è stato aperto in Italia un procedimento contro Carlos Luis Malatto per gli stessi fatti, come espressamente riconosciuto dall’art. 8, comma 1, lett. (a) della Convenzione di estradizione italo-argentina.
Aut dedere aut judicare
Sin dall’epoca di Ugo Grozio il diritto internazionale prevede, in varie forme, l’obbligo, per lo Stato che rifiuti la consegna di un individuo accusato di gravi reati in un altro Stato, di processarlo dinnanzi alle sue corti. In tempi più recenti, tale principio è stato formalizzato in numerosi trattati bilaterali e multilaterali.
Fra questi, la Convenzione contro la tortura e altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti (conclusa il 10 dicembre 1984 e ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 3 novembre 1988, n. 498) prevede, agli articoli 5, 7, comma 1, e 8, l’obbligo dello Stato sul cui territorio venga scoperto il presunto autore di un reato di tortura di procedere alla sua estradizione, ovvero di sottoporlo ad un’azione penale dinnanzi alle sue corti interne.
Si potrebbe obbiettare che la Convenzione contro la tortura è stata adottata in epoca successiva rispetto alla commissione dei reati ascritti al Malatto e, dunque, invocare la garanzia di irretroattività della legge penale. Tuttavia, tale argomento si scontra con la constatazione che le condotte asseritamente commesse dall’estradando negli anni ’70 erano chiaramente punite dalla legge italiana all’epoca in vigore e che l’obbligo convenzionale di estradare o perseguire il presunto autore del reato di tortura rappresenta semplicemente la codificazione di un principio consuetudinario (sebbene né la Corte internazionale di giustizia, nel caso Belgio c. Senegal, né la Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite si siano chiaramente espresse sul punto).
Nelle prossime settimane, eXtradando pubblicherà diverse opinioni su queste questioni – che evidentemente chiamano in causa complesse valutazioni di diritto internazionale.
Tuttavia, si può sin d’ora notare che (i) la sentenza n. 43170/2014 della Corte di cassazione ignora (o sembra ignorare) completamente l’esistenza di questo principio e che, in ogni caso, (ii) nell’ottobre 2015, il Ministro della Giustizia ha prestato la propria autorizzazione a procedere in Italia contro Carlos Luis Malatto ai sensi dell’articolo 8 del codice penale.
Evidentemente, lo svolgimento di questo processo rappresenta una tappa cruciale per quanto riguarda la posizione di tutti coloro che si trovano ad essere accusati, in Italia, di aver preso parte alle gravissime violazioni dei diritti umani perpetrate dalla giunta militare argentina. Infatti, come afferma il Professor Claudio Tognonato, argentino residente a Roma, da sempre impegnato nella battaglia contro l’impunità dei membri del regime, al momento vi sono almeno 70 ex militari argentini latitanti in vari Stati europei: è, pertanto, necessario evitare che l’Italia diventi un porto sicuro per tutti loro.
Nelle prossime settimane, seguiremo lo sviluppo del procedimento contro Carlos Luis Malatto in Italia, tentando di chiarire quali sono le conseguenze dal punto di vista degli obblighi di diritto internazionale e di tutela dei diritti umani assunti dall’Italia.
Per ora, occorre ribadire ancora una volta che assicurare giustizia alle vittime di tortura non è semplicemente un atto richiesto dalla morale internazionale o una decisione politica, ma una vera e propria obbligazione giuridica volontariamente assunta dallo Stato italiano.
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