Estradizione e fatti sopravvenuti: l’incidente di esecuzione è il rimedio per superare il “giudicato estradizionale”
- Giulia Borgna
- 24 hours ago
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Updated: 9 minutes ago

La sentenza n. 28460 del 19 giugno 2024 della VI Sezione penale della Corte di cassazione affronta un tema cruciale in materia di estradizione: la stabilità della pronuncia favorevole alla consegna, il cosiddetto giudicato estradizionale, e la possibilità di metterla in discussione in presenza di fatti sopravvenuti che incidano sulla tutela dei diritti fondamentali dell’estradando.
Il contesto fattuale della vicenda
La pronuncia trae origine da una domanda di estradizione avanzata dalla Federazione Russa nei confronti di un proprio cittadino accusato di corruzione. La Corte d’appello di Venezia, nel 2019, aveva accertato la sussistenza delle condizioni di estradabilità, decisione confermata dalla Cassazione nel 2020. La consegna non aveva però avuto concretamente luogo in quanto l’estradando non era stato più rinvenuto sul territorio italiano.
Tuttavia, nel 2022 la difesa dell’estradando aveva chiesto la revoca della sentenza di estradizione, sostenendo che il recesso della Russia dal Consiglio d’Europa e la denuncia della CEDU avessero fatto venir meno le garanzie circa la tutela dei diritti umani nello Stato richiedente poste a fondamento della consegna. La Corte d’appello di Venezia aveva dichiarato inammissibile l’istanza, affermando che ogni questione successiva spettasse al Ministro della Giustizia e, in caso di adozione del decreto di estradizione, al giudice amministrativo.
Da qui il ricorso per cassazione, che ha offerto alla Suprema Corte l’occasione per affrontare il tema – finora poco esplorato – dei rimedi giurisdizionali avverso la sentenza estradizionale a fronte di fatti sopravvenuti.
Il nodo della questione: esiste un rimedio contro il giudicato estradizionale?
In apertura, la Corte di cassazione ha ridefinito i contorni del cosiddetto giudicato estradizionale. La sentenza favorevole alla consegna, infatti, è definitiva soltanto finché permangono le condizioni che ne avevano giustificato l’adozione: si tratta, dunque, di una decisione “allo stato degli atti”, dotata di una efficacia preclusiva limitata.
A sostegno di questa lettura, la Cassazione richiama diversi argomenti sistematici. Tra essi spicca un dato normativo: l’art. 707 c.p.p., che consente allo Stato richiedente di formulare una nuova domanda di estradizione, successiva ad una precedente decisione di diniego da parte del giudice italiano, purché fondata su elementi sopravvenuti idonei a sovvertire la precedente valutazione in sede giurisdizionale.
Sennonché, il codice di rito non prevede espressamente strumenti di revoca delle sentenze favorevoli all’estradizione.
Per quanto concerne la possibilità di attivare il rimedio della revisione, la giurisprudenza di legittimità si è da sempre espressa in termini ostativi (cfr. Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 29687 del 30 maggio 2022, Mc Callum Beverly Ann, in cui è stata anche esaminata, e respinta, la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 630 c.p.p. nella parte in cui non comprende la sentenza favorevole all’estradizione tra i provvedimenti suscettibili di revisione).
Secondo la Cassazione, l'istituto suscettibile di venire in rilievo è invece costituito dall'incidente di esecuzione, che processualmente costituisce, nei limiti di cui all’art. 666 c.p.p., il rimedio specificamente approntato dall’ordinamento contro “il titolo” da eseguire e, dunque, il mezzo per rimettere in discussione il fondamento del titolo estradizionale in presenza di fatti sopravvenuti.
La Corte richiama, in tal senso, proprio l’art. 707 c.p.p., che consente allo Stato richiedente di presentare una nuova domanda di estradizione a fronte di elementi sopravvenuti, e osserva come sarebbe contrario al principio di eguaglianza riconoscere tale facoltà allo Stato e negare all’estradando un mezzo simmetrico per far valere mutamenti sopravvenuti delle condizioni che ne avevano giustificato la consegna.
Ogni diversa soluzione, secondo la Cassazione, sarebbe poi incongrua e contraria all’art. 13 CEDU, che garantisce il diritto ad un rimedio effettivo, in quanto l'autorità giudiziaria italiana, pur avendo essa stessa adottato la sentenza di estradizione, non garantirebbe alcuna adeguata tutela in presenza di un novum in grado di incidere sulle precedenti valutazioni.
Superamento della dicotomia fase giurisdizionale / fase amministrativa
Altro profilo importante della sentenza è il ridimensionamento dell’idea secondo cui, una volta divenuta definitiva la sentenza di estradizione, ogni tutela si sposterebbe sul versante amministrativo, con possibilità di impugnare solo il decreto ministeriale innanzi al giudice amministrativo.
La Cassazione chiarisce – anche grazie alla sponda del convergente orientamento del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 3095 del 4 aprile 2024) – che la tutela dei diritti fondamentali dell’estradando, in quanto concernente lo status libertatis e comunque una posizione di diritto soggettivo, rimane appannaggio della giurisdizione ordinaria. Il giudice penale conserva, dunque, uno spazio di intervento anche nella fase successiva alla pronuncia della sentenza, attraverso l’incidente di esecuzione.
Oltre il giudicato: la tutela dei diritti fondamentali come metro variabile fino alla effettiva consegna della persona richiesta
Nel caso concretamente sottoposto all’esame della Corte, il ricorso è stato dichiarato inammissibile in ragione dell’assenza dell’estradando dal territorio italiano. È un principio consolidato, infatti, quello per cui la fisica disponibilità dell’estradando costituisce il primo ed essenziale presupposto dell’estradizione (cfr., ex multis, Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 44465 del 3 dicembre 2001, Dumitran).
Ciò nondimeno, la pronuncia in commento costituisce un tassello di rilievo verso la costruzione di un sistema più equilibrato in materia di estradizione: la sentenza favorevole alla consegna non è più vista come un blocco intangibile, bensì come una decisione rivedibile alla luce di circostanze sopravvenute. Si apre così un terreno nuovo, che potrà rivelarsi decisivo in tutti quei casi in cui il contesto giuridico o politico internazionale o le condizioni personali dell’estradando mutino radicalmente dopo la pronuncia della sentenza di estradizione.
Peraltro, la soluzione individuata dalla Cassazione risulta pienamente coerente con i principi affermati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, da ultimo in Compaoré c. Francia del 7 settembre 2023, ove la Corte ha accertato la violazione dell’art. 3 CEDU nel suo volet procedurale in quanto le autorità francesi – dopo avere adottato la decisione favorevole alla consegna – avevano omesso di verificare se le assicurazioni diplomatiche offerte dallo Stato richiedente (Burkina Faso) fossero ancora affidabili e vincolanti alla luce del sopravvenuto colpo di stato militare, che aveva determinato la sostituzione del governo costituzionale con una giunta militare.
Secondo la Corte europea, infatti, finché l’estradando permane nel proprio territorio e non sia ancora stata eseguita la consegna, lo Stato richiesto resta gravato da un obbligo permanente di considerare ogni informazione sopravvenuta che possa far emergere il rischio di torture o di trattamenti inumani o degradanti nello Stato richiedente.
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